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Memoria: non basterà un giorno

di Albertina Soliani

C’è qualcosa che inquieta intorno al Giorno della Memoria. Possibile che vi sia stato bisogno di una legge per ricordare l’Olocausto? La legge n° 211 del 20 luglio 2000, il giorno anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz. Forse che i popoli europei non ricordano per sempre l’orrore che li ha attraversati? Come può essere accaduto? Cinque anni dopo, il 1° novembre 2005, l’ONU ha fatta propria questa giornata a livello mondiale. Il 27 gennaio non può essere solo il Giorno della Memoria. Se ricordare, conoscere, riflettere è necessario, ancor più necessario è l’impegno.

La Repubblica, dice la legge all’art. 1, «riconosce il giorno 27 gennaio Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

Il 20 luglio è anche l’anniversario del fallito attentato a Hitler. C’è molto da sapere intorno a quella parte del secolo scorso. Fare memoria vuol dire innanzitutto conoscere. In questi giorni si diffondono letture, film, spettacoli. Non basta, occorre impegnarci oggi e per tutto l’anno perché non accada più quell’orrore. Occorre studiare la storia del ‘900 nella scuola italiana, per capire l’origine del nazifascismo. Per scoprire ciò che non avremmo mai voluto sapere, il consenso popolare, le delazioni e i tradimenti dei vicini di casa, l’indifferenza dei comuni cittadini.

Occorre conoscere la Costituzione, attraverso l’educazione civica, anch’essa istituita con legge, per fare propri i fondamenti della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza.

Occorre indagare la storia contemporanea, la cultura, le paure che inducono ancora oggi molte persone, e la stessa politica, a veicolare razzismo e antisemitismo.

Occorre conoscere le idee democratiche di quanti, appartenenti a schieramenti diversi, hanno resistito al fascismo, rifiutandosi, in nome della loro coscienza, di aderire alla RSI subendo la deportazione.

Occorre conoscere la grandezza d’animo e il coraggio di quei cittadini, alcuni dei quali riconosciuti poi Giusti tra le nazioni, che si sono opposti al progetto di sterminio, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Fare memoria vuol dire molto di più che ricordare.
Vuol dire conoscere le cause che hanno portato l’umanità a esperienze così malvagie. Vuol dire condividere, vivere e difendere oggi i valori democratici. Vuol dire determinare politiche nazionali ed europee di accoglienza dei migranti, di abbattimento dei muri, di cittadinanza e di integrazione.

L’apertura del cancello di Auschwitz è stata l’apertura su un mondo nuovo da costruire dopo le macerie della disumanità. È l’inizio di un lavoro di rigenerazione della coscienza umana collettiva che, dopo un così tremendo orrore, e il silenzio che lo ha accompagnato, non può che dedicarsi a coltivare umanità, solidarietà, pace. Di generazione in generazione, perché è ogni giorno che si determina il confronto tra il bene e il male, nella coscienza individuale e nella vita del mondo. Perché prima di Auschwitz, e dopo Auschwitz, l’orrore continua. Nel 1915, all’inizio del XX secolo, fu consumato il genocidio degli armeni ad opera dei Giovani Turchi. Hitler ricorderà che allora il mondo non insorse, e colpì gli ebrei.
È un giorno che si fa carico della storia intera, il 27 gennaio, e del futuro che abbiamo di fronte.

Non basterà un giorno dedicato alla Memoria per riscattare l’umanità, non basteranno i secoli.

Se non rinnoviamo ogni giorno l’impegno, è vano celebrare questo giorno.

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